La lotta ecologista dell'ultimo pastore della Corsica, tra tempeste mediatiche e influenze western, è ora al cinema.

di Gabriele Lingiardi

Il Mohicano 2

Come sarebbe un western ambientato al tempo dei social network? E se fosse girato come un film di denuncia? La risposta ad entrambe le domande è Il Mohicano, film diretto da Frédéric Farrucci e sorretto dalla performance di Alexis Manenti. Un’opera imperfetta, ma anche stimolante nel suo tentativo di fondere suggestioni cinematografiche così diverse.

Joseph è un pastore della Corsica, l’ultimo rimasto. Il suo terreno è oggetto di attenzioni di potenti signori locali che intendono operare una speculazione edilizia nell’area. Ma Joseph non è disposto a vendere e questa sua decisione lo mette nel mirino della mafia locale. Braccato, scappa in Sardegna per proteggere la sua terra. Fino a che sarà in vita nessuno potrà edificare. Così la sua storia rimbalza sui social tra verità e fake news costruite ad arte per ritrarlo come un assassino. Il leggendario “mohicano” diventa presto un eroe tra i pastori locali e tra le nuove generazioni. Il film rincorre Joseph nella sua progressiva rinuncia all’identità per diventare simbolo della ribellione contro la criminalità. Un’ostinazione ecologista che è stata oggetto di vari film negli ultimi anni, segno di una rinnovata attenzione del cinema per l’ambiente. Si ricordano i bellissimi Il male non esiste di Ryusuke Hamaguchi e As Bestas di Rodrigo Sorogoyen. Il Mohicano è meno compatto rispetto a questi due titoli e fatica a far convivere l’anima gangster e western con il tema sociale, sconfinando talvolta in una retorica visiva carica di cliché (la sparatoria finale alla Sergio Leone).

Ad elevare l’interesse del film sono però i temi che propone. Il protagonista, di finzione, è ispirato a veri pastori reali. A meritare la visione sono soprattutto i luoghi in cui lo porta la sua fuga. Farrucci la mette in scena per mostrare un mondo rurale fatto di omertà, di avidità (cosa non si distruggerebbe in nome di qualche soldo facile fatto con il turismo?), ma anche di una rabbia sopita che fatica a tramutarsi in azione. Da soli dire di no a tutto questo non è semplice. C’è bisogno di simboli, di persone che ispirino un’azione collettiva. Finché resterà almeno una persona a farlo, ci sarà ancora speranza.

 

Temi: criminalità organizzata, terra, agricoltura, ecologia, resistenza, lotta civile