Comincia la vetrina cinematografica più attesa dell'anno. E oltre a star e grande cinema d'autore, la politica e l'impegno civile degli artisti sono i veri protagonisti di questa edizione.
di Gabriele Lingiardi
L’edizione numero 78 del Festival di Cannes è sin dalla prima settimana un’edizione caratterizzata da una competizione priva di film attesissimi (nella scorsa edizione svettava Megalopolis di Coppola), ma piena di qualità autoriale e militante. Il mondo chiama, l’arte risponde: l’impegno politico al cinema risuona più urgente che mai, la realtà chiede di essere letta attraverso le immagini.
Ritorna il regista iraniano Jafar Panahi con il misterioso A Simple Accident portando con sé la promessa di un cinema potente, sfuggito alle censure del regime. I Dardenne, amatissimi sulla Croisette, tornano con Jeunes mères. Come sempre a fare da padrone saranno i temi sociali in un film con protagoniste cinque giovani madri. I legami tra donne sono oggetto di indagine emotiva anche in Fuori di Mario Martone, unico italiano in concorso. La mano nostrana si vede molto però nelle giurie con Alice Rohrwacher che presiede la Caméra d’or (il premio alle opere esordienti) e la sorella Alba Rohrwacher nella giuria del concorso. Importante la presenza di Two Prosecutors del regista ucraino Sergej Loznitsa e di Dossier 137 di Dominik Moll sulla violenza della polizia.
Non solo temi sociali, l’immancabile parata di star è affidata a Mission: Impossible — The Final Reckoning che ha riportato Tom Cruise a Cannes dopo la promozione di successo del secondo Top Gun e La trama fenicia di Wes Anderson. Il cast è composto da Tom Hanks, Michael Cera, Benedict Cumberbatch, Scarlett Johansson e Benicio del Toro per citare solo alcuni dei molti interpreti di “serie A”. La sfilata glamour sul tappeto rosso è inevitabile, ma un gradevole contorno, per tutti i festival di cinema.
Chissà però se l’elegante pubblico che ha assistito alla consegna della Palma d’Oro alla carriera di Robert De Niro passata per mano da Leonardo DiCaprio si aspettava un discorso così diretto e poco di rito. “In America stiamo lottando con tutte le nostre forze per la democrazia che davamo per scontata” ha detto l’attore invitando i creativi di tutto il mondo a non dimenticare la prerogativa dell’arte. “L’arte cerca la verità. L’arte abbraccia la diversità. Ecco perché è una minaccia per autocrati e fascisti” ha continuato tra gli applausi attaccando duramente la politica trumpiana dei tagli alle arti e all’istruzione. Chissà che a vincere la Palma d’Oro quest’anno non sia proprio un film che, paradossalmente, non avrà paura di essere politicamente divisivo.
