L'opera prima di Alissa Jung sotto la lente filosofica: genitorialità e adolescenza tra mancanza d'affetti, vuoti interiori e sforzi per riconciliarsi.

Di Giovanni Scalera

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Con Paternal Leave, Alissa Jung firma un esordio registico di grande sensibilità, capace di immergerci in modo toccante nel cuore di un’adolescente in cerca di risposte. Per raggiungere il suo obiettivo compie un viaggio che la porta dalla Germania ad una piccola località balneare italiana, in un disperato tentativo di colmare un vuoto esistenziale: trovare suo padre, Paolo, interpretato da Luca Marinelli.

Quindici anni di silenzio, una paternità assente e un segreto svelato attraverso un video su YouTube: questi gli elementi che spingono Leo verso un uomo che, nel frattempo, ha costruito una nuova vita, con un’altra figlia piccolissima. L’incontro tra i due è un intreccio di imbarazzo, ritrosia e aspettative. Paolo, travolto dalle sue responsabilità e dal peso di un passato evitato, reagisce inizialmente con un impulsivo “Non puoi restare qui”. La determinazione della ragazza, a farsi notare, è palpabile, un’urgenza interiore che la porta a stringere amicizia con Edoardo, un fattorino con cui condivide un legame inaspettato, uniti dalle contraddizioni delle loro vite e i sentimenti contrastanti verso i rispettivi padri.

La linfa vitale di ‘Paternal Leave’ scorre nella tensione vibrante, e spesso dolorosa, che unisce (e divide) padre e figlia. Inizialmente, Paolo e Leo si avvicinano in momenti non verbali, come nel suggestivo surf sul mare ghiacciato, immagine rappresentativa di una genitorialità cooperativa e di una bellezza silenziosa. Tuttavia, questa fragile armonia si infrange non appena Paolo privilegia la figlia minore, scatenando in Leo un’esplosione di emozioni represse. È in questo scontro che avviene la vera crescita. Entrambi i personaggi emergono trasformati, con un Paolo che, seppur con fatica, inizia a confrontarsi con le proprie responsabilità e una Leo che, pur nella sua rabbia, inizia a elaborare il suo vuoto interiore.

In un’ottica più profonda, “Paternal Leave” può essere letto come una ricerca nietzschiana della volontà di potenza, seppur in una chiave relazionale. Leo, con la sua fuga e la sua determinazione a trovare il padre, incarna la volontà di affermare la propria esistenza, di colmare un vuoto identitario che la tormenta. Non si tratta di una mera ricerca di affetto, ma di un impulso a comprendere le proprie radici, a dare un senso alla propria storia. La sua rabbia, la sua tenacia, sono manifestazioni di una forza interiore che la spinge a trasformare l’assenza in presenza. Paolo, d’altra parte, rappresenta la figura che ha cercato di evitare questa “volontà di potenza” altrui, preferendo la fuga dalla responsabilità. La sua è una paura del confronto con il proprio passato non risolto. In definitiva, è un film che, pur con qualche piccola imperfezione tipica di un’opera prima, si distingue per l’intensità delle interpretazioni e per la capacità di esplorare con sensibilità le dinamiche complesse di una paternità ritrovata e di una figlia in cerca di sé.

Canzone ispirata ai temi del film: Father and Son di Cat Stevens