Tradire la propria morale per convenienza. Il dilemma più antico dell'uomo etico. E la meschinità delle istituzioni che per conservare il loro potere si piegano alla menzogna.
di Giovanni Scalera
Luca Guadagnino, maestro nell’esplorazione delle dinamiche umane complesse, affronta un terreno minato con il suo nuovo film, After the Hunt – Dopo la caccia. Ambientato tra i corridoi severi dell’Università di Yale, il film si colloca nella sofisticata e ambiziosa tradizione del dramma accademico-etico. Non è una semplice storia di campus, ma una provocazione ispirata a fatti reali, destinata a innescare un dibattito acceso su verità e morale. La scena è dominata da Alma Imhoff (Julia Roberts), carismatica e brillante professoressa di filosofia femminista, in lizza per l’ambita cattedra contro il suo caro amico ma malizioso collega, Henrik Gibson (Andrew Garfield). Intorno ad Alma orbitano due figure cruciali: il marito Frederik, una presenza ambigua il cui sostegno oscilla in modo bizzarro tra momenti di supporto e lamentele fastidiosamente petulanti; e la dottoranda Maggie Price, una giovane donna nera e queer e devota discepola di Alma. Nonostante il suo background privilegiato, Maggie è un elemento di disturbo: i suoi strani impulsi e le sue intenzioni confuse la rendono bizzarra e imprevedibile. La crisi esplode dopo una festa nell’appartamento di Alma, quando Maggie accusa Hank di molestia sessuale, un’accusa che lui nega con veemenza. Alma si trova così intrappolata al centro di un conflitto che minaccia la sua carriera e la sua intera identità professionale, costringendola a scegliere tra la lealtà alla sua studentessa e la fiducia al suo vecchio collega.
Il vero nucleo centrale del film non è l’evento in sé, ma la natura della “verità” all’interno delle istituzioni. Il film attinge direttamente alle teorie di Michel Foucault (citato anche nelle lezioni di Alma) sul nesso indissolubile tra potere e sapere. La “verità” sull’accaduto, quindi, non è un dato oggettivo, ma piuttosto l’effetto del regime di potere che Alma e l’Università rappresentano: la cattedra (il potere accademico tradizionale) e la morale del politically correct (il potere ideologico emergente) sono gli apparati che determinano quale accusa o quale difesa debba prevalere. Di conseguenza, la lealtà di Alma si sposta: non è più fedele a un’etica morale, ma al mantenimento della sua posizione all’interno del “regime della verità” accademico. È la sopravvivenza del suo status a dettare le regole. Maggie, in questo scenario, non è solo una vittima, ma la personificazione un po’ scomoda della generazione contemporanea, caricata all’eccesso di attributi (ricca, calcolatrice, omosessuale e coinvolta in un sospetto plagio) che vengono sfruttati attivamente nella lotta di potere.
Nonostante un potenziale filosofico e un cast eccellente, il film risulta eccessivamente denso. Guadagnino appesantisce la narrazione iniziale con una sovrabbondanza di dialoghi spesso didascalici, cercando di costruire più che di mostrare il dramma. Questa lentezza è aggravata da manierismi registici che si frappongono tra lo spettatore e la storia con inquadrature insolite ed un ticchettio assordante e costante, simile a una bomba ad orologeria pronta ad esplodere.
Libro che si ispira al film per le sue tematiche:
“Il soggetto e il potere” di Michel Foucault