L'analisi del biopic del Boss con Jeremy Allen White a firma Giovanni Scalera. Un viaggio nell'arte come via per interrompere la volontà, la fonte primaria di ogni desiderio e di ogni sofferenza.
Di Giovanni Scalera
Non la solita celebrazione di una rockstar. “Springsteen. Liberami dal nulla” – basato sul libro di Warren Zanes del 2023 è molto di più di questo: un’acuta esplorazione esistenziale concentrata sul momento cruciale di una carriera che portò alla creazione dell’album “Nebraska” (1982). Il film ci mette davanti a un Bruce Springsteen disorientato dal trionfo e tormentato da un profondo senso di inautenticità.
Questa condizione di star in “esilio” si addentra nell’analisi dell’interiorità di un artista sull’orlo di un successo titanico nel momento in cui la sua ascesa si scontra con l’implacabile urgenza del sé irrisolto. La crisi spinge Bruce ad un ritiro necessario per affrontare l’angoscia derivante dai traumi passati, in particolare il rapporto con il padre, i cui abusi e l’odio per se stesso vengono mostrati nei flashback in bianco e nero.
Il ritiro autoimposto da Springsteen evoca la metafisica del dolore di Arthur Schopenhauer. L’atto di registrare Nebraska non è solo una scelta stilistica, ma la sublimazione estetica di un’angoscia esistenziale profonda. L’arte, per il filosofo tedesco, rappresenta la via per affrancarsi, seppur momentaneamente, dal cieco e incessante dominio della volontà, la fonte universale di tutto il desiderio e di ogni sofferenza. Springsteen, mettendo in musica il suo trauma irrisolto, non cerca il successo (il desiderio della volontà), ma la catarsi, trasformando così il proprio dolore in “idee” artistiche disarmanti. La rockstar non vuole che la sua foto appaia sulla copertina e impone l’assenza di singoli e tour, sancendo la volontà che la gente interpreti l’album senza nascondimenti.
Nonostante l’eccellente interpretazione di Jeremy Allen White, la sceneggiatura riduce l’abisso del trauma di un uomo di successo in un piccolo trattato di “psicologia pop” offrendo tre semplici passaggi per affrontare una vicenda di abuso (riconoscere, sfogarsi, perdonare). Meno convincente appare la sottotrama amorosa con la cameriera single Faye, un personaggio composito che non aggiunge molta profondità tematica e serve perlopiù come veicolo per Bruce per sfogare le sue frustrazioni creative e relazionali.
Nonostante ciò il film rimane fondamentale nel mostrare un artista che, per la sua autenticità, malgrado una certa fragilità umana, sacrifica il successo, compiendo un “salto” essenziale per riallacciarsi al suo essere più profondo e non all’immagine superficiale di star.

Opera d’arte ispirata al film: Monaco in riva al mare (1808-1810) di Caspar David Friedrich