“La realtà non mi piace più, la realtà è scadente” dice Fabio, il protagonista di È stata la mano di Dio, il nuovo film di Paolo Sorrentino. Ma sarà proprio la vita vera a plasmare questo film autobiografico.

Di Gabriele Lingiardi

È stata la mano di Dio

L’opera stempera molte dalle astrazioni caricaturali del regista, le legge con un occhio meno cinico e più sentimentale, regalando un tono insolito che potrebbe piacere anche ai neofiti del suo cinema. La “mano di Dio” non è solo quella di Maradona, arrivato a Napoli nel 1984 (immagina Sorrentino) insieme a Federico Fellini, ma è anche quella che ha guidato la formazione del giovane Fabietto, qui alter-ego di Sorrentino, tra una tragica perdita dei genitori e la scoperta delle prime passioni. Ma attenzione, non si parla solo degli amori d’adolescenza, qui ritratti con gusto felliniano per il grottesco, ma anche del trasporto per il cinema. La città di Napoli ha qui un ruolo particolarmente rilevante come musa, contenitore di esperienze e madre formatrice. Un luogo impossibile da abbandonare. È stata la mano di Dio è anche un film profondamente spirituale, dove pervade costantemente la sensazione di essere seguiti e osservati da un “altro”. Una potenza che non costringe ad un destino, ma che mostra il suo disegno. Ci sono tanti vinti, emarginati, gli “strani”. Qui diventano custodi dei sentimenti più veri e di quella follia anticonvenzionale non compresa dal mondo, ma che lo riempie di sfumature di colore e di vita. Colpiscono le molte figure, come quella del piccolo monaco, che vanno ad attutire la solitudine esistenziale raccontata dal regista, mai così ottimista come in questo emozionante film. Immagini enormi pensate per il cinema e dedicate al cinema, come detto più volte da Sorrentino, e che sarebbe veramente un peccato non vedere in una grande sala. Il film rappresenterà lItalia agli Oscar.

 

Temi: crescita, cinema, ricordi, famiglia, solitudine, primi amori, passione, vocazione, dolore