In un'opera che è quasi un omaggio al teatro, e un antitesi recitativa che contrappone Ficarra e Picone con Toni Servillo, il regista riesce a stupire con un film dal sapore tragicomico.

Di Gabriele Lingiardi

la stranezza

È normale sentirsi disorientati guardando “La stranezza” di Roberto Andò. Uno di quei casi in cui il titolo può sintetizzare un primo, frettoloso, giudizio critico sul film. Perché quello messo in scena dal regista siciliano è un menù fatto di sapori in contrasto tra di loro e solo apparentemente male assortiti. Strani, insomma.
Il film stesso si chiede, con stupore, se quello che mette in scena sia una tragedia o una commedia. Perché le maschere comiche di Ficarra e Picone, qui protagonisti, si scontrano con il grigio della fotografia e con un Toni Servillo dallo stile recitativo come sempre molto impostato e preciso.

Lui è Luigi Pirandello. Loro sono Onofrio Principato e Sebastiano Vella, due becchini che si dilettano nel teatro. Non riconosciuto, il maestro osserva il loro affaccendarsi, cercando soluzione per sua inquietudine creativa.
Meglio approcciarsi al film non sapendo di più, per non rovinarsi un gioco intellettuale e letterario piuttosto riuscito. Perché “La stranezza”, che è anche l’impulso creativo che prende Pirandello come un visionario, si spiega lungo il percorso. Tutto tornerà, anche il contrasto tra caratteri così differenti. Come spesso capita il film soffre di troppa consapevolezza dei suoi personaggi; Giovanni Verga parla al collega come se avesse studiato le sue opere in un’antologia critica.

Però l’emozione è altrove, ed è in una splendida e lunghissima sequenza finale in cui il film sembra riannodare i fili in uno splendido omaggio su tre lati: quello al teatro, quello al cinema, e infine alle persone semplici, ben più interessanti dei pretenziosi e acculturati ricchi incapaci di godere del bello. Andò trova il senso del film in uno sguardo: quello dato da Pirandello, nascosto dietro le porte della sala, ai suoi sempliciotti compagni di viaggio. È un’inquadratura potente, che ci invita ad assumere lo stesso occhio curioso. Quello di un autore in cerca di personaggi.

 

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