di Gianluca Bernardini

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Ci sono posti che sembrano non avere orizzonti. Ci sono persone che credono di non avere futuro. Ci sono situazioni che paiono non vedere mai l’alba. Ci sono Castel Volturno, Maria e «l’inferno» che fanno parte del film di Edoardo De Angelis «Il vizio della speranza».

Presentato all’ultimo Festival del cinema di Roma e premiato dal pubblico come miglior lungometraggio, l’opera del regista e sceneggiatore partenopeo narra la storia di una giovane (Pina Turco, bravissima), salvata dal mare, che si ritrova a traghettare prostitute straniere incinte, costrette a cedere le loro «creature» in cambio di lavoro e denaro. Maria, provocata da una di esse di nome Fatima (nomi non casuali) che vuole tenersi il bambino, decide di lasciarla andare mentre anche per lei sembra abbattersi il medesimo destino. Determinata a portare avanti la propria gravidanza, Maria non vuole accettare la stessa disperata sorte e per questo farà di tutto per lottare contro chi vorrà opporsi al suo volere.

De Angelis porta in scena un racconto carico di sofferenza (segnata sui volti), ma anche di speranza (sogni). In mezzo a tanta bruttezza (sporcizia da tutte le parti), la purezza degli sguardi e la bellezza della vita che in qualche modo ritorna vogliono fare breccia in una terra dove vagano «corpi» che cercano un modo per ricominciare a vivere. L’autore non si stanca di guardare a quest’umanità (ferita) in cui continua a credere (non dimentichiamo il suo «Indivisibili» del 2016) nonostante tutto. Non per nulla dentro la cabina dove le donne vanno a partorire v’è una scritta in catalano sul muro che significa «Uccidi il drago». Un monito e, forse, un invito perché nessuno possa mai fermare quel benedetto o maledetto, per alcuni, «vizio della speranza».

Temi: speranza, lotta, umanità, prostituzione, donna, maternità, violenza, degrado, razze, vita

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