Riparliamone con un film: le opere migliori degli scorsi anni da riscoprire in tempo di quarantena. Minuti davanti a uno schermo da dedicarsi per intrattenersi con qualità. Oggi parliamo de Il vizio della speranza.

Di Gianluca Bernardini

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Il bel film di Edoardo De Angelis «Il vizio della speranza» è una storia di Maria e Fatima; sono due donne dai nomi non casuali, protagoniste di quest’opera che guarda negli inferi dell’esistenza (la tratta delle donne) per trovare l’alto e il trascendente.

Nella prima immagine del film vediamo una giovane in mare. La osserviamo dall’alto verso il basso, nella cosiddetta inquadratura «occhio di Dio» (anche questo non un caso) mentre viene letteralmente ripescata e sollevata dalle acque grazie a un peschereccio di passaggio. È l’inizio della sua nuova vita a Castel Volturno, come persona salvata dalle acque, ma anche come schiava moderna. La ritroviamo infatti, anni dopo, a traghettare prostitute straniere incinte, costrette a cedere le loro «creature» in cambio di lavoro e denaro. Maria credeva di essere sterile, ma un giorno si scopre incinta. Seguendo l’esempio di un’altra donna, Fatima, la ragazza decide di portare avanti la propria gravidanza, lottando contro un sistema criminale che le impone l’aborto.

La regia di De Angelis racconta la sofferenza attraverso i volti delle protagoniste e la speranza attraverso i loro sogni. Siamo immersi in una Italia notturna, illuminata dalle luci artificiali dei neon, carica di sporcizia e scritte: segni di una vita che ribolle e continua sotto le macerie della società. L’acqua, simbolo di vita onnipresente, è a tratti anche oggetto di morte per le anime trasportate su barche che spaventerebbero Caronte stesso, verso un destino incerto.

Eppure De Angelis lancia con la sua opera un inequivocabile grido di speranza. Questo «vizio» di non arrendersi parte dal luogo più insolito, ed è un invito a fare vincere la vita e il domani contro chi vuole sopprimere e «rendere oggetto» il futuro. La purezza degli sguardi e la bellezza della vita che in qualche modo ritorna, vogliono fare breccia in una terra dove vagano «corpi» che cercano un modo per ricominciare a vivere. L’autore non si stanca di guardare a quest’umanità (ferita) in cui continua a credere (non dimentichiamo il suo «Indivisibili» del 2016) nonostante tutto. Un film autentico, non semplice ma essenziale. Una visione coraggiosa che non ricatta lo spettatore con facili sentimentalismi, ma che è destinata ad accompagnarci per molti giorni.