I cinema riaprono. Il pubblico ritorna. Ma manca una cosa che, prima del coronavirus, spesso ci infastidiva: il vicino di posto.

Di Gabriele Lingiardi

cinema uomo

C’è chi sgranocchia i pop corn. Chi apre a fatica una caramella portata da casa. Chi si dedica alla messaggistica istantanea, illuminando gli occhi dei vicini di posto (per chi non lo sapesse, in quel caso è lecito leggere il contenuto della conversazione dal momento che è impossibile vedere altro). Chi ha portato con sé bambini irrequieti che scalciano e altri che leggono le didascalie ad alta voce. Il pubblico e il cinema è sempre stato questo.

Ed era bellissimo!

Vedere un film o uno spettacolo teatrale (per fortuna questi ultimi sono mediamente più disciplinati) è da sempre inteso come un atto ordinato, di civiltà e cultura in cui una folla fa un’esperienza collettiva in silenzio, concentrata, verso uno schermo illuminato. Se vengono infrante queste semplici regole di convivenza civile si rischia di perdere la bellezza dell’opera proiettata. Un cinema non è uno stadio. E soprattutto non è un bar. Ci si reca per ascoltare una storia, non le chiacchiere del vicino di posto.

Eppure, se il cinema fosse veramente così, sarebbe una noia.

Un film visto in sala è molto altro e l’abbiamo capito da poco. Se è vero che un film si ripete identico a se stesso, non è così per la sua fruizione. Il contesto, l’occasione, influenza l’opera. Pensate cosa si perse chi vide Una poltrona per due in sala… a ferragosto. E quale studente guarderebbe mai Notte prima degli esami in un giorno diverso dall’inizio della maturità?

Si può fare, è ovvio. Ma non è la stessa cosa.

Se il contesto cambia il film allora anche il pubblico deve avere un ruolo. Giusto poco più di un anno fa arrivava in sala il fenomeno culturale di Avengers Endgame che faceva esultare il pubblico di appassionati come davanti a un concerto (è vero, cercate su YouTube). Bohemian Rhapsody non era stato da meno, proponendo addirittura una versione karaoke.

Dopo più di 100 giorni di dieta cinematografica siamo stati tutti estremamente contenti di potere ritornare in sala. Le norme e i protocolli, saggiamente studiati da persone che si sono spese anima e corpo per la causa, ci danno sicurezza. Possiamo tornare a divertirci. Ma non ci divertiamo come un tempo. Perché ci siamo accorti di una cosa: il cinema va visto da vicino… e da vicini.

A distanza di sicurezza gli uni dagli altri, non ci mancano certo le chiacchiere a voce troppo alta o le suonerie che squillano nei momenti meno opportuni. Ci manca però quel sottile contatto senza fisicità che nasce dal film e si propaga in contemporanea tutti noi che guardiamo. Perché l’arte diventa vita quando ci commuove insieme allo sconosciuto a nel posto L-15. Ci fa ridere, guardando la reazione del bambino del posto I-10. Spaventa, come gli indisciplinati ragazzi della fila B di fronte a un horror. Tiene con il fiato sospeso, come la coppia M-14 e M-13 che sembrano avere perso il respiro dalla tensione. 

Ora che possiamo avere la sala tutta per noi e goderci il film nelle condizioni ideali arriva quella bella nostalgia di quella caratteristica che rende perfetto il cinema visto in sala: la sua umana imperfezione. Il cinema va visto vicini, perché lo schermo è troppo grande per guardarlo da soli.