La notizia del giorno viene da oltre oceano. La Major Universal e la catena di cinema statunitensi AMC hanno stipulato un rivoluzionario accordo sulle finestre di sfruttamento.

Di Gabriele Lingiardi

AMC

Proprio come i ristoranti continuano a prosperare nonostante ogni casa disponga di una cucina, siamo sicuri che gli spettatori si recheranno nei nostri cinema”, sono queste le parole con cui il CEO della catena AMC, Adam Aron ha commentato la decisione.

Il “prequel” di questa vicenda va ritrovato in tempo di quarantena. La Universal, travolta dalle chiusure dei cinema, rese disponibile in forma di PVOD, premium video on demand, alcuni titoli del suo catalogo tra cui Trolls World Tour. Il film incassò 100 milioni di dollari in patria, rivelandosi un successo là dove il primo capitolo ne aveva incassati 150 (divisi con la quota delle sale). AMC, in segno di protesta per la violazione della finestra di sfruttamento di 90 giorni, aveva reagito dichiarando che non avrebbe proiettato più i film targati Universal nelle sue sale.

Così non è stato.

Il recente accordo con la catena di sale permette alla major di tenere sul grande schermo i film per 17 giorni, e di distribuirli subito dopo in contemporanea sia in sala che in home video (intendiamo con questo termine tutti i tipi di fruizione “casalinga”). La finestra di sfruttamento della sala, prima dell’arrivo del film su altre piattaforme, era di ben 90 giorni prima di questo accordo.

Le conseguenze sono evidenti: per il film (quindi il lato distribuzione) il lavoro di marketing è molto più limitato e concentrato e permette di avere una “rete” di salvataggio qualora il lockdown dovesse continuare a sbalzi e differenziandosi di stato in stato. Solitamente nelle prime settimane i film fanno gran parte del loro valore commerciale e incasso. Tanto che, in Italia, i diritti per la televisione vengono contrattati proprio alla luce di quel risultato al botteghino. 17 giorni dovrebbero bastare quindi per evitare un grande calo nella cifra complessiva degli incassi a fine corsa.

L’accordo al momento non ha ancora trovato la sua definizione per quanto riguarda i mercati esteri, come il nostro. Certo, il pericolo della distribuzione illegale si affaccerà per forza di cose anche sulla nostra offerta. I prodotti, quando arrivano in digitale, sono facilmente piratabili. Eppure questo fenomeno difficilmente colpirà i cosiddetti “family”, dal momento che necessitano di doppiaggio e trovano un’utenza generalmente non dedita a queste pratiche.

Se dovesse però arrivare anche in Italia un accordo del genere a rischiare potrebbero essere proprio le sale di seconda visione.

Con i film in sala che diventano sempre di più un evento “concerto”, legato quindi a un periodo limitato, chi propone le opere senza il day and date rischia di trovarsi schiacciato tra uno pubblico da grande schermo già esaurito, e i fruitori da casa che attendono pazientemente che il prodotto sia disponibile.

E ancora, il lockdown ha scosso l’esercizio portandolo a sperimentare esperienze come le piattaforme MioCinema o IoRestoInSala. Se il digitale e il fisico andranno sempre di più a braccetto occorre riflettere in ottica futura su come governare questo cambiamento. Non per rinunciare al grande schermo, ma proprio per fare sì che il confronto con l’esperienza ravvicinata di un film in digitale sia vincente per la sala. Bisognerà sperimentare nuove forme, nuovi ruoli della sala, senza l’illusione che tutto possa tornare esattamente come prima (anche solo nella percezione del pubblico). Eppure crediamo si possa arrivare al domani del cinema solo tenendo di fronte la “stella polare” che da sempre ci ha guidato nelle scelte: la soddisfazione di un pubblico che vuole essere toccato, scosso e interrogato dalla storia che osserva in maniera collettiva. Crediamo che la comunità, e la fruizione comune, saranno sempre la vera ragione di vita della sala. Il buon successo delle arene estive ci ha insegnato che vedere un film con altre persone, anche quando già disponibile in tv, è un’esperienza che va oltre la sola fruizione.

E allora, se non si riuscirà ad opporsi al cambiamento, bisognerà guardare al futuro e lavorare su questo, sulla creazione di eventi irrinunciabili, su un’esperienza di sala che non possa essere sostituita da un divano.