Sono stati assegnati i premi Oscar del 2020. Come noto l’onorificenza è tutt’altro che un oggettivo riconoscimento al valore, e molto spesso le statuette sono state assegnate a film discutibili. Eppure quest’anno, con i premi più importanti a Parasite, sembra esserci stata una svolta e un chiaro messaggio verso il mondo del cinema contro la crisi della sala. Proviamo a vedere assieme cosa comunicano questi Oscar rispetto allo stato di salute dell’industria.

Di Gabriele Lingiardi

Oscar

Un anno di grandi film anche per il pubblico

Non è scontato: quest’anno la decina di candidati a Miglior Film era veramente forte. Tutti i film (forse ad eccezione di Le Mans) hanno avuto un ottimo riscontro di critica e… di pubblico. Parasite ha portato a casa l’incasso maggiore per un film straniero in America. Joker è stato il maggior incasso di sempre “rated R”, ovvero vietato ai minori, e rappresenta una curiosa variazione al tema del superomismo. JoJo Rabbit ha vinto il premio del pubblico a Toronto, Tarantino è da sempre un regista molto amato dalla comunità cinefila, mentre Sam Mendes con 1917 è riuscito a variare un tema già usato e abusato nel cinema statunitense. Scorsese e Baumbach, outsider per via delle note polemiche con Netflix, sono riusciti a coniugare l’autorialità “indie” e sfidante per lo spettatore medio con un prodotto di grande impatto.

Il ritorno dei prodotti originali sulla scia delle serie tv

Forse è un ottimismo eccessivo, ma nella stagione 2019-2020 abbiamo visto un ritorno di prodotti di qualità (e di incassi) tratti da sceneggiature originali. Anche quando il film si è appoggiato a un libro l’ha fatto distanziandosi dalla fonte (JoJo Rabbit) o provando ad allontanarsi dal concetto di franchise (Joker). Tutto ciò non è segno automatico di “salute” dell’industria creativa, anzi, molti seguiti hanno dato prova negli anni di grande freschezza, ma è immagine di una possibile reazione al grande successo delle serie tv, governate dagli sceneggiatori e spesso “ideas driven”. Guidati dalle idee più che dai soldi. Quest’anno sono arrivati film più curati dal punto di vista della scrittura, che lasciano più potere creativo agli sceneggiatori proprio come la forma a puntate in televisione. Mentre le miniserie aumentano di budget (si vedano i prodotti Disney +), tra i film candidati ai premi di quest’anno non figurava nessun mega Blockbuster dal budget sconfinato. Unica possibile eccezione: 1917. Se il trend dovesse continuare potremmo aspettarci un ritorno dei film “scritti”, estremamente curati da sceneggiatori. Il rischio d’impresa viene ammortizzato dal budget minore ma, quando l’idea di sceneggiatura è forte abbiamo visto che può preludere a un grande successo economico.

Miglior film straniero a Parasite

Si è fatta la storia. Mai un film in lingua non inglese aveva vinto il premio più importante. The Artist nel 2011, di produzione francese, era considerato muto. Il premio a Parasite segna un’apertura importante nella mentalità del cinema statunitense. Si inizia a guardare al mondo del cinema anche al di fuori dei confini, e non solo all’industria hollywoodiana. Parasite è la dimostrazione che si può realizzare veramente un cinema globale che vada oltre il territorio nazionale. Detto tra parentesi, le produzioni italiane dovrebbero iniziare a guardare allo stesso modo alle opportunità del mercato, per potere osare di più rischiando di meno. Certo, di film come Parasite ne esce uno all’anno, quando va bene, ma è molto probabile che in futuro osserveremo un’ondata di riconsiderazione commerciale dei film di qualità. Finalmente una spinta importante a costruire campagne di marketing delle opere audiovisive sia in senso qualitativo lanciandole come prodotti “da Oscar” che strategie di promozione al grande pubblico. Ricordiamo l’intrigante poster di Parasite con i volti “censurati”, o il mistero intrigante attorno alla trama prima dell’arrivo in sala, per fare due esempi.

Forme ibride

La speranza è che si continui così, con un’ibridazione tra la qualità e la fruibilità. Prodotti intelligenti, che riescono a parlare un linguaggio popolare, a volte spettacolare, a volte furbo… ma che si propongono di comunicare concetti “alti”. Meno grandi autori, grandi nomi di registi. Al centro tornano i film.
Le sale della comunità sono chiamate a osservare da vicino questi processi e a riconoscere queste opere, senza paura di programmarle o di scommettere su di loro. Sarà sempre più necessario e utile aiutare il pubblico con schede, cineforum, dibattiti o momenti di confronto, per fare apprezzare al meglio questo tentativo di puntare in alto… partendo dal basso.