1917 di Sam Mendes è un film di guerra girato con tante lunghe inquadrature montate assieme per restituire l’impressione di assistere ad un piano sequenza (un’unica inquadratura senza stacchi). L’effetto è immersivo e spettacolare, figlio di una perizia tecnica senza precedenti. Sembra di vivere “in diretta” le vicende. Ma c’è molto altro sotto la superficie che può dare adito a un buon dibattito durante i cineforum. Ecco quindi la rubrica parliamone con un film, per suggerire chiavi di lettura ad animatori e gestori di sala e stimolare le riflessioni attorno ai film di qualità.

Di Gabriele Lingiardi

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Una folle corsa contro il tempo

Siamo nelle trincee inglesi, nel 1917. Due soldati vengono inviati in una missione suicida: devono attraversare le linee nemiche ed arrivare dai propri compagni a molti chilometri di distanza. Va consegnato messaggio urgente: l’imminente attacco che sta per essere ordinato deve invece essere fermato poiché il nemico sta progettando una trappola. Sam Mendes, regista premio Oscar per American Beauty, racconta la prima guerra mondiale attraverso uno stile adrenalinico e movimentato. L’effetto di continuo piano sequenza ci immerge nella storia, portandoci fianco a fianco dei soldati protagonisti del film, come se fossimo un “terzo” compagno, che corre vicino a loro. Il tempo è il vero nemico, la missione va conclusa in poche ore. È curioso che sia stato scelto il primo conflitto mondiale per raccontare questa storia: un conflitto noto per la sua staticità, per l’essere stato una lotta di posizione, rinchiusa nelle trincee. Se Dunkirk di Christopher Nolan (dedicato all’omonima celebre battaglia) usava tre piani temporali diversi che si intrecciavano tra di loro per raccontare le fasi della guerra, 1917 aggiunge all’analisi del tempo uno studio sullo spazio. I personaggi corrono e si muovono nelle spettacolari scenografie. Il set, ricostruito per chilometri e chilometri, è un vero e proprio terzo personaggio.

La guerra: un susseguirsi di azioni insensate

È come se 1917 fosse ambientato in un limbo. Un luogo liminale dove gli uomini vagano e agiscono come zombie. Le azioni a cui questi ragazzi sono chiamati vengono impartite come ordini. Eseguire, non pensare. Correre, non fermarsi. I due protagonisti non sono i primi a compiere un percorso simile e, come ci viene suggerito nel finale, probabilmente non saranno gli ultimi. Il cinema ha imparato a raccontare la guerra per quello che è: un non-sense. Un’insensatezza autolesionista da cui l’uomo non riesce a liberarsi.

Una fotografia e un suono d’eccezione

Roger Deakins, il direttore della fotografia del film, ha vinto il suo primo Oscar per Blade Runner 2049, ma è considerato un “maestro della luce” ormai da molti anni. La sfida che comportava girare 1917 era quasi impossibile. Hanno dovuto aspettare giorni prima di trovare la luce giusta per l’inquadratura finale (in cui il sole filtra sul volto del soldato). Uno spostamento di nuvole richiedeva di rifare interamente la lunga -piano- sequenza, poiché l’attacco della successiva non avrebbe avuto una corrispondenza visiva. Il suono è stato ripreso quasi interamente in diretta, per immergere maggiormente lo spettatore nei suoni dell’ambiente e nel respiro dei protagonisti (che hanno indossato per tutto il tempo un microfono). L’effetto è quello di una giostra visiva ed emotiva, che potrebbe respingere qualcuno per la sua distanza dal linguaggio convenzionale del cinema, ma che ha il valore assoluto di farci estremamente immedesimare con i personaggi e vivere, in un contesto protetto, da vicino il trauma delle armi.

Scelte di regia

C’è un importante momento a metà film, un accoltellamento, che dimostra quanto in realtà le scelte di regia siano presenti, forti e significative. Sam Mendes decide di mostrarcela fuori campo, nonostante abbia un impatto fortissimo all’interno della trama. Nonostante il piano sequenza c’è una prospettiva chiara: quella del regista. La morte di un compagno sarebbe stato un momento carico emotivamente in qualsiasi altro film, ma Sam Mendes decide di darlo a chi guarda solo qualche istante dopo che è avvenuto. Noi spettatori vaghiamo assieme ai soldati, ma vediamo solo quello che il regista ci indica. Quante storie avvengono sullo sfondo, quanto non vediamo, quanto non vogliamo vedere. È questa una grande parte della forza di un film tecnicamente affascinante che ha anche il coraggio di fare discutere, di dividere, e di restare negli occhi.