Who's Romeo è un docufilm prodotto dal Centro Asteria. Quando Shakespeare incontra la realtà di oggi, quando l'arte si fa linguaggio comune per un messaggio di pace e fratellanza.

di Gabriele Lingiardi

Who's Romeo

Who’s Romeo. Chi è Romeo, una domanda senza interrogativo, è il titolo del film prodotto dal Centro Asteria e diretto da Giovanni Covini con protagonisti sei ragazzi del quartiere Gratosoglio di Milano, appartenenti a religioni diverse. Musulmani e Cristiani entrano in contatto con le ispirate parole di Shakespeare, che fanno da linguaggio comune, e riflettendo sugli avvenimenti di Romeo e Giulietta mettono in discussione se stessi, i conflitti tra diverse culture e il ruolo delle nuove generazioni. Prima dell’anteprima assoluta, che si terrà al Centro Asteria giovedì 15 novembre alle ore 21, abbiamo avuto il piacere di dialogare con il regista Giovanni Covini.

Buon giorno Giovanni, partiamo dal principio: come è nato questo particolarissimo film?

L’idea è nata nel luglio del 2016, a poche ore dall’ attentato alla Promenade des Anglais a Nizza. Quando è avvenuto io ero in vacanza in Liguria, a pochissimi chilometri dal luogo della strage. In quel momento di dolore mi sono risuonate le parole di Shakespeare in testa. Quella camminata era frequentata da innamorati, da giovani accomunati dalla voglia di vivere. Invece due civiltà in conflitto hanno portato nient’altro che distruzione. Come in Romeo e Giulietta coloro che si amano vengono divisi e distrutti dalla guerra. Ho sentito il bisogno quindi di parlare ai giovani, le prime vittime di questo orrore, perché non accada più.

Da qui la scelta di coinvolgere giovani attori non professionisti?

Certo, direi addirittura non attori. Sono ragazzi autentici. Quando ho proposto il progetto ho ricevuto, con non poco stupore, un grande riscontro da parte del Centro Asteria. Queste straordinarie suore del Centro hanno accettato con entusiasmo e ci hanno subito supportato. Abbiamo chiesto se conoscessero ragazzi di religione Cristiana e Musulmana che potessero partecipare al progetto e così abbiamo incontrato i nostri straordinari attori: ragazzi che nel loro percorso di vita hanno incontrato il Centro Asteria, ragazzi veri, senza filtri. Siamo partiti lavorando sul testo di Shakespeare e da lì è nato il film. Spesso si chiede ai registi “cosa volevi dire con il film?” Io penso che per Who’s Romeo la domanda sia quanto mai sbagliata, perché è il film che parla, che racconta se stesso al pubblico.

E quindi, per lasciare parlare al meglio il film, che consiglio dai agli spettatori? Cosa osservare maggiormente? Con che spirito approcciarci al film?

Direi di lasciarsi andare. Di entrare in sala senza preconcetti e abbandonarsi a questo film, il resto verrà da sé! La produzione del nostro film è stato un work in progress che ha regalato non poche sorprese. Ci sono alcune inquadrature sbagliate di cui però andiamo molto orgogliosi, perché sono sincere e perché rappresentano il film che si crea sotto i nostri occhi. Spesso, riguardando il girato, ci si accorge che qualcosa che non credevamo essere importante assume una parte fondamentale nell’immagine e viceversa. Il film è nato così: in ogni istante sul set.

L’audiovisivo è un linguaggio. Spesso si intende il cinema come un modo di parlare ai giovani. Who’s Romeo sembra più un mezzo per parlare con i giovani. Una piccola ma importante differenza.

Concordo! Diceva Fassbinder che non si può fare un film sull’amore, ma si può fare un film con amore. Così anche il nostro film. È come mettere le mani nel miele, tu lo sai che quando le tirerai fuori il miele non andrà via, si diventa in un certo senso un tutt’uno. Sono le regole del gioco.

Il messaggio del film e di grande unione. Nelle note di regia troviamo scritto: “Musulmani e Cristiani possono raccontare una storia d’amore insieme. Credenti e non credenti possono farlo (…)”. Sinceramente però, vedendo la realtà di oggi, sempre più incattivita, risulta difficile crederlo possibile. Who’s Romeo dimostra che qualcosa si può fare. Ma come?

Si può fare eccome! Capisco che la realtà sia sconcertante e faccia paura, ma bisogna capire che la realtà non è la verità. Non bisogna cadere nello sconforto, ma iniziare a parlare un linguaggio comune e in questo l’arte può aiutare! Poi credo che ci sia anche un prezzo da pagare, non è certo facile. Noi abbiamo faticato a realizzare il nostro progetto, abbiamo fatto sacrifici di tempo e di denaro, abbiamo lavorato gratuitamente (è un progetto rischioso, difficile da produrre). Abbiamo affrontato la realtà con fatica e senza sponsor… ma senza lamentele e sempre con il sorriso. Alla fine di tutto, abbiamo visto che ogni sacrificio ne valeva veramente la pena!