Due solitudini che si incontrano e insieme ritrovano la luce

di Gianluca BERNARDINI

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«Normale vuol dire normale, cioè niente», così risponde il ribelle adolescente Lorenzo (l’esordiente e bravo Jacopo Olmo Antinori) allo psicologo (un richiamo allo stesso Bernardo Bertolucci?), prima di ritornare nel mondo avvolto dalla sua musica. Inizia così l’ultimo film del grande e pluripremiato cineasta italiano che, nove anni dopo «The Dreamers», torna alla regia – nonostante una malattia che l’ha costretto sulla sedia a rotelle – con il nostrano «Io e Te», tratto dal piccolo e celebre romanzo di Niccolò Ammaniti. Non vuole essere «normale», infatti, Lorenzo così come non lo è assolutamente Olivia (la travolgente Tea Falco), drogata venticinquenne che piomba improvvisamente nel rifugio che il fratellastro si è ricavato nella cantina di casa con la scusa della settimana bianca, per fuggire da un mondo (genitori compresi) che non gli appartiene. Ama gli animali esotici, Lorenzo, li conosce e possiede libri a tema, i romanzi che parlano di vampiri, la musica a tutto volume nelle orecchie, l’amore per le formiche. Olivia, dal canto suo, è stata risucchiata dalla droga: foto-artista incompresa e disperata, trova nel bunker di Lorenzo una nuova occasione per cercare di disintossicarsi dalla vita. Due solitudini, due mondi apparentemente estranei: li unisce un padre in comune (assente per entrambi) e una disperata voglia di essere compresi e amati. Sarà in questa luce soffusa di una cantina e in questa disperata convivenza che i due si guarderanno, davvero per la prima volta, in faccia e avranno l’occasione per scoprirsi e ritrovarsi più vicini che mai: finalmente fratello e sorella, in un dolce e sentito abbraccio. Bertolucci, in una nuova e sorprendente rinascita, con «Io e Te» riesce a farci cogliere in profondità queste due personalità in bilico, tramite un vero e proprio sguardo d’autore che sa andare oltre il buio e il mistero che avvolge l’esistenza. Un vero scorcio di luce sul misterioso e controverso mondo dell’umano, grazie anche alla fotografia di Fabio Cianchetti che sa cogliere nell’ombra i minimi dettagli e le singolari sfumature. Sulle note di «Ragazzo solo, ragazza sola», versione italiana (scritta da Mogol) di «Space Oddity», cantata dallo stesso David Bowie, anche noi ci domandiamo «perché tanto dolore», sebbene in fondo, memori di «una resurrezione» che ha toccato la vita una volte per tutte, sappiamo che dopo la notte arriva sempre il giorno.