di Gianluca BERNARDINI

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La violenza non guarda in faccia a nessuno, lo sappiamo. È la stessa cronaca che quasi ogni giorno ci ricorda quanto male è presente nel mondo. Ciò che ci colpisce, però, è quando questo viene inferto dalle persone più vicine che dovrebbero volere, invece, solo ed esclusivamente il bene dell’altro. Succede in famiglia, per esempio, anche a volte, purtroppo, nelle cosiddette «migliori». Gli amori finiscono, i sogni si infrangono, la rabbia aumenta fino a desiderare l’annullamento altrui. Un po’ come nel caso di Antoine (Denis Ménochet) e Myriam (Léa Drucker), che giunti dal giudice alla fine del loro matrimonio, vedono affibbiarsi l’affido congiunto del figlio minore, Julien (Thomas Gioria), nonostante le premesse non siano le migliori. Nasce così «L’affido. Una storia di violenza» di Xavier Legrand (II), vincitore del Leone d’Argento e Leone del Futuro all’ultimo Festival di Venezia. Un racconto volutamente asciutto e fatto di «suspense», che mette a fuoco non solo le ferite sotterranee, le minacce sommerse ma, anche tutte quelle paure taciute «a fin di bene». Niente di esemplare e forse niente di nuovo, ma un film necessario perché se ne parli e perché l’omertà, camuffata dal rispetto, non abbia mai più la meglio sulla pelle delle persone, soprattutto delle donne e dei piccoli. Una storia dalle forti emozioni che porta lo spettatore a prendere coscienza che non si può, e non si deve, restare a sbirciare dall’occhiello dell’uscio, perché la violenza non è mai una questione «privata». Un’opera capace, dunque, di coinvolgere il pubblico giocando con la sua intelligenza (perché si è giunti a tutto questo?) e i suoi nervi (il ticchettio dell’orologio, i passi, i pianti e le grida trattenute, gli sguardi silenti…). Da vedere e meditare.

Temi: affido, violenza, famiglia, separazione, figli, paura, amore, gelosia, rabbia.