Metti a tema l’Alzheimer e alla fine ti trovi davanti un docufilm che parla col “cuore in mano”.

Di Gianluca Bernardini

perdutaMENTE

Sembra proprio fare questo Paolo Ruffini, alla regia insieme a Ivana di Biase, dopo il successo di “Up&Down – Un film normale”, con l’ultima sua opera: “PerdutaMente”. Un viaggio in Italia, da nord a sud, alla scoperta di una malattia che colpisce migliaia di persone, a volte ancora in giovane età, segnando le vite non solo degli stessi protagonisti, ma anche quelle degli affetti che ruotano attorno a loro. Storie di persone normali che diventano “speciali” per il coraggio con cui affrontano quel morbo che va a colpire la “memoria” e il “ricordo”, fino a cancellare addirittura quel tu che sei sempre stato. Storie piene di sofferenza e di coraggio, ma soprattutto ricche di amore.  Ci sono mogli, mariti, genitori, nonni, zii: uomini e donne protagonisti di racconti che profumano di “eterno”, nonostante sembrino in qualche modo, per l’appunto, “scomparire”. C’è delicatezza, c’è attenzione in questo sguardo privo di qualsiasi morbosità. Vi sono quindici vere e proprie testimonianze di vita sullo schermo, a cui non ci si può non affezionare, che restano dentro anche dopo i titoli di coda e scavano nel profondo, perché vanno a toccare, e ad intaccare, ciò che abbiamo di più intimo e prezioso. Come queste parole, che suonano come una perfetta sintesi del film: “Io non so più chi sei, ma so che ti amo”. PerdutaMente purtroppo è restato poco al cinema ma, come promesso, a marzo tornerà in sala. Senz’altro da recuperare, anche in ambito di rassegne o, meglio ancora, di cineforum.

Temi: malattia, Alzheimer, sofferenza, memoria, coscienza, amore, affetti, cura, vita