racconta l’esperienza dell’amore che affascina e delude

di Gianluca BERNARDINI

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La vita ha sempre a che fare con l’amore. È la presenza o l’assenza di esso che rende più o meno drammatica ogni esistenza. Non solo quella incerta e complicata di Neil e Marina (Ben Afflek e Olga Kurylenko) che si amano, si lasciano e poi si ritrovano, ma anche quella in crisi di padre Quintana (Javier Bardem) che non riesce più a trovare il suo "Signore" e il senso della sua vocazione («Impediscimi di fingere»).

«Cos’è quest’amore che ci ama?», ci domandiamo anche noi con Terrence Malick che torna al cinema con To the wonder dopo il pluripremiato The tree of life (2011). Ancora una volta il grande cineasta americano ci propone una grande esperienza di cinema (per palati molto fini) capace di dare più "voce" alle immagini (quello che il vero cinema dovrebbe saper fare) che ai suoi personaggi. Sono proprio queste a raccontare l’esperienza dell’amore che affascina, conquista, delude e sa ancora poi "meravigliare" la vita degli uomini.

Un cinema quello di Malick che chiede molto allo spettatore (sarà per questo che la distribuzione italiana ha scelto di farlo uscire a luglio nelle sale), ma che sa restituire altrettanto a chi lascia che il proprio animo s’immerga nell’esperienza del "profondo".  Perché è li che si gioca la potenza della riflessione del "nuovo Bresson" (così da molti riconosciuto) che evoca più che descrivere, allude più che narrare le particolarità di una storia («perché un film deve spiegare tutto? Perché ogni motivazione deve essere esplicitata?», ricordava proprio nella sua ultima recensione sul The Chicago Sun Times Roger Ebert parlando di To the wonder). Passando tra Parigi, Mont Saint-Michel e l’Oklahoma (catturate da una splendida fotografia) il percorso filosofico ed esistenziale del cineasta americano ci porta a toccare ancora una volta con mano tutta la complessità (data anche nelle diverse lingue usate dagli attori) e la bellezza che si gioca nel rapporto tra la Natura (propria dell’uomo) e la Grazia (dono divino), quand’anche contaminato (come del resto la stessa terra) dal male e dal peccato. «Voi temete che il vostro amore sia morto – ci rammenta nella predica padre Quintana -. Forse sta aspettando di essere trasformato in qualcosa di più elevato». Non si trova tutta qui la «meraviglia», probabilmente, di «quell’eccedenza» (bellissima la preghiera recitata da Barden) che solo un’anima raffinata sa (r)accogliere dalla vita e da ogni film di Malick?