È in sala da qualche settimana Aladdin, la nuova trasposizione live action del classico Disney, che sta sbancando i botteghini di tutto il mondo. Non è semplice, per animatori di sala che si interrogano sull’industria cinematografica, mostrare questi remake senza pensare di proporre alle nuove generazioni i vecchi film di animazione, spesso più validi di quelli moderni. Proviamo ad analizzare questa versione diretta da Guy Ritchie nei temi e nelle novità che mette in immagine e cerchiamo di capire quali punti di forza trovare.

Di Gabriele Lingiardi

Aladdin

Un cinema al femminile.

Il movimento MeToo ha toccato il cuore di Hollywood. Dopo lo scandalo Weinstein l’attenzione è stata posta in particolar modo alla rappresentanza di genere nei film per famiglie. In particolare, in questo Aladdin, la principale differenza rispetto al classico del 1992 è la caratterizzazione di Jasmin. Una donna ancora più forte e risoluta, quasi protagonista del film, a cui viene dato l’onere di cantare un brano mai ascoltato prima (gli altri sono quasi tutti riarrangiamenti dei brani conosciuti).
La mia voce nessuno la spegne”, canta, ed è qui il cuore tematico del film. Una storia di ambizioni, di persone che vorrebbero essere qualcosa di più di quello che sono, ma la società li costringe a ruoli predefiniti. Naomi Scott, che interpreta la principessa, evita gli stereotipi femminili, ma costruisce un personaggio autentico. Il momento di rivalsa, il più emozionante del film, è in realtà un viaggio nell’interiorità della principessa. Una scelta insolita per un blockbuster di questa portata ma decisamente riuscito e sensato negli equilibri narrativi.

Guy Ritchie, un regista alla corte Disney

Scelta insolita il britannico Ritchie alla regia di un film per famiglie. Il suo stile, pienamente anni ’90, fatto di stacchi bruschi, corse frenetiche e adrenaliniche, viene moderato e asservito alla storia. Purtroppo, di contro, nelle sequenze di transizione (dialoghi, gag comiche) sembra mancare di mordente. I numeri musicali, per contrasto, brillano con dinamismo e forza. Non viene rifiutata la vocazione di musical né l’aspetto orientaleggiante che aiuta ad offrire uno sguardo diverso a chi, magari, non è abituato alla travolgente allegria e ai colori di questo cinema lontano da noi.

Originalità?

Purtroppo queste trasposizioni spesso rispecchiano pedissequamente la messa in scena dell’originale. E anche Aladdin per gran parte della sua durata non è un’eccezione. Come operazioni commerciali restano discutibili, ma è probabile che trovino il favore del pubblico più giovane, ormai poco attratto dai film “vecchi”.

Aladdin parla a un’altra generazione, quella attuale, e va visto in questo modo. La presenza di attori in carne ed ossa non limita le acrobazie funamboliche. Il tripudio di computer grafica lo avvicina al genere dell’animazione abbracciando in pieno la finzione scenica in un viaggio nel regno di fantasia. Per chi vuole qualcosa di diverso… restando pienamente nel famigliare.