Il film di Justine Triet è un thriller sorprendente che riesce a portare la storia di un omicidio a un livello più profondo di indagine sulle relazioni affettive.

Di Gabriele Lingiardi

Anatomia di una caduta

L’inizio di Anatomia di una caduta è una sequenza a cui si tornerà per tutto il resto delle due ore e mezza di film. La scrittrice Sandra Voyter sta rilasciando un’intervista a una sua studentessa nella sua casa in mezzo alla neve. Il marito Samuel alza la musica all’eccesso nella stanza accanto, per sabotare la moglie. Il figlio ipovedente Daniel esce di casa con il cane. Ritorna qualche ora dopo e trova il cadavere del padre, probabilmente precipitato da una finestra. Il processo, che vedrà Sandra prima indiziata dell’omicidio, fa scalpore diventando un caso di cronaca seguitissimo. Tutti i personaggi sono interessati alla verità. La regista Justine Triet meno. Il suo film, premiato con la Palma d’oro a Cannes ha poco del giallo. È piuttosto una anatomia (o un’autopsia) del rapporto di coppia.

Scavando nel passato e negli angoli di una casa inizialmente accogliente, poi sempre più fredda e vuota, Anatomia di una caduta mostra con schiettezza come anche le persone che riteniamo più protette (come i benestanti intellettuali) possano essere vittima dei mali moderni, così sottili da riconoscere eppure ingombranti a tal punto da generare crepe profonde nella coppia. L’insoddisfazione cronica rispetto alla propria capacità di rispondere alle aspettative individuali e della società. La solitudine, accettata prima come isolamento bucolico, salvo tramutarsi in una soffocante assenza. I sensi di colpa che sembrano essere l’unica benzina che fa andare avanti nel tentativo di farsi perdonare senza mai riuscire perdonare se stessi. Sono questi solo alcuni degli spunti, profondissimi, che il film riesce ad affrontare pur mantenendo un andamento incredibilmente appassionante.

Sempre presenti in scena sono anche i media. Le telecamere assetate di dolore che giudicano e pre-giudicano i soggetti che riprendono come se non fossero persone, ma personaggi. Ci sentiamo chiamati in causa come spettatori. Tutto ciò va a costituire un’opera di grande importanza emotiva e teorica. C’è la verità e c’è la soggettività. Quest’ultima, a volte, è così potente da vincere sulla prima. Allora l’unica cosa che resta da fare non è prevalere, ma mettersi in ascolto e provare a capire l’altro. Infine, perdonare e perdonarsi.

Temi: soggettività, famiglia, crisi di coppia, verità, indagine, solitudine, dialogo, traduzioni