Un’adolescente scampata al lager. Ma non è possibile dimenticare le proprie radici

di Gianluca BERNARDINI

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Anita (Elin Powell), adolescente ungherese ebrea scampata al lager durante la seconda guerra mondiale, giunge a Zvikovev, tra le montagne della Cecoslovacchia, dalla zia Monika (Andrea Osvart), sorella di suo padre, unica parente che l’è rimasta. Auschwitz deve restare fuori dalla sua nuova casa. Questo è l’ordine intimatogli dal giovane ed attraente Eli (Robert Sheehan), cognato della zia, con cui dovrà condividere non solo la stanza, ma anche la sua prima esperienza affettiva. Ferita, innocente e intimorita la giovane si trova a condividere il recente «passato» solo col piccolo Roby, che si ritrova ad accudire. Non c’è spazio per la memoria, il dolore deve essere lasciato alle porte, così come la propria fede deve essere vissuta nel nascondimento. Tutto deve essere nuovo, ma non la paura che a tratti si presenta e inquieta l’entourage familiare. Roberto Faenza torna in questi giorni nelle sale ancora una volta con un film, «Anita B.», che richiama l’Olocausto (ricordiamo tutti il meraviglioso «Jona che visse nella balena»), senza che esso prenda il sopravvento nella narrazione. Se il dramma deve restare fuori, il regista sceglie di lasciarlo ai margini. Viene evocato, ma volutamente non mostrato. Eppure c’è, è presente e tocca inesorabilmente la vita di tutti. Anita infatti non ci sta, non comprende, accetta senza però rinunciare ad essere quella che è in tutto e per tutto. Il film è tratto dal romanzo «Quanta stella c’è nel cielo» di Edith Bruck: il nome Anita «B.» è in omaggio alla scrittrice che tra l’altro ha collaborato nella stesura della sceneggiatura. Un vero e proprio racconto di formazione che Faenza mette sullo schermo, con un tocco del tutto «delicato» e «rispettoso» (complici la fotografia e la colonna sonora). Utile non solo nella Giornata della memoria (sarà presentato al museo dello Yad Vashem a Gerusalemme), il lungometraggio richiama tutti, e soprattutto i più giovani, al fatto che non è possibile dimenticare le proprie radici. Non si è senza il proprio passato. Non serve rimuovere. Si può fare finta, ma la vita chiama sempre a guardare al futuro arricchiti da tutto ciò che si è vissuto nel bene e nel male. D’altronde, diceva Cicerone, «la memoria è tesoro e custode di tutte le cose». Tra l’altro non manca il tocco «pro-life», cosa non scontata nella cinematografia attuale. Da vedere anche nelle scuole.  

Temi: Shoah, adolesenza, amore, sofferenza, speranza, memoria, passato, radici.