di Gianluca BERNARDINI

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Sandra (la bravissima Marion Cottilard), lavora alla Solwal, una piccola azienda di pannelli solari, che ha deciso di tagliare, causa la crisi odierna, del personale, o meglio ha pensato di licenziare lei, considerata non più necessaria dopo un periodo di assenza (malattia), optando per un bonus di mille euro per i suoi compagni di lavoro. Disperata, rischia di cadere di nuovo in depressione, se non fosse per una collega che la invita a rimettersi in gioco attraverso una nuova votazione in suo favore e per suo marito Manu (l’intenso Fabrizio Rongione), che la spinge, per amore, a battagliare non solo per mantenere il posto, ma soprattutto per lei e per i figli che la sostengono. Inizia così una sorta di «peregrinatio» di casa in casa per cercare di convincere «il suo team» a non accettare i soldi per favorire una sua reintegrazione. Un lungo e duro weekend per Sandra che tra qualche no e qualche sì, sostenuti per lo più da motivazioni ragionevoli e rispettose, la porterà a ritrovare a fatica quella fiducia e forza in se stessa, fino a un finale meraviglioso e non scontato. Grazie alla maestria di Luc e Jean-Pierre Dardenne, dopo il «Ragazzo con la bicicletta» di qualche anno fa’, esce in Italia (passato allo scorso Festival di Cannes) «Due giorni, una notte»: un film che difficilmente si potrà dimenticare. Asciutto, come sanno fare i fratelli cineasti, retto da una grande interpretazione attoriale, una colonna sonora quasi del tutto assente, sostenuto soprattutto da una regia impeccabile e un’ottima sceneggiatura, il film ci introduce poco per volta nel mondo «normale», quello fatto di valori, di povertà, di gente che si trova a condividere la pesantezza del quotidiano e la gestione degli imprevisti che se anche possono mettere in ginocchio, non devono mai schiacciare la nostra dignità. Un’opera che invita a prendere in considerazione il tema della solidarietà e della lotta, quanto quello della compassione, dal sapore tutto evangelico. Ogni giudizio resta per lo più sospeso di fronte al dramma umano che coinvolge la vita delle persone, ma qui la camera, attraverso i suoi primissimi piani, ha un potere straordinario di empatia. Resta ad ogni modo la domanda morale: che avremmo fatto al posto loro? O meglio ancora: fino a dove ci saremmo spinti e in che termini? Mentre Sandra ha un momento di «crollo» afferma: «Non sono niente, proprio niente…»; ma proprio la pronta risposta del marito, «Tu esisti, io ti amo», ci fa dire che c’è sempre una possibilità di salvezza quando si mette in gioco tutto se stessi nell’amore. Necessariamente «una bella storia» da non perdere.

Temi: famiglia, lavoro, crisi, malattia, solidarietà, compassione, lotta.