di Gianluca BERNARDINI

1-90364

Quando un padre diventa tale? Che rapporto intercorre tra il generare ed essere realmente genitore? Si può amare un «figlio» sapendo che non è dello stesso sangue come tu pensavi? Magari scoprendolo improvvisamente, dopo sei anni, quando una telefonata dall’ospedale ti annuncia un probabile scambio di culla avvenuto alla nascita? Sembrano essere queste, e molte altre pure, le domande dell’ultimo film di Hirokazu Koreeda «Father and son», premiato giustamente a Cannes nel 2013. Ryota (Masaharu Kukuyama, celebre cantante e poi attore nel Paese del Sol Levante) è un architetto benestante, classico giapponese (almeno nella nostra immaginazione), tutto dedito al lavoro e al successo che vorrebbe dare il meglio per la sua famiglia: sua moglie Midory (Machiko Ono) e il piccolo Keita, avuto dopo un parto difficile che ha precluso ogni altra possibilità di avere figli. Tutto ruota intorno alla perfetta routine di questo «piccolo mondo borghese» quando la «terribile notizia» colpisce non solo la famiglia di Keita, ma anche quella più provinciale e più numerosa di Ryusei (il figlio biologico). Mentre quest’ultima vorrebbe giustizia per il «danno» fatto, Ryota, soprattutto, entra in crisi sul suo dovere morale di riavere quel figlio che un domani, gli ricordano, «crescerà assomigliando sempre più ai suoi genitori naturali».  Sta proprio in questo incontro-scontro tra figli e famiglie (in più tentate occasioni), tra luci e ombre (i sensi di colpa), tra principi e ragioni (soprattutto del cuore) che si gioca la bellezza del dramma portato sullo schermo, con tocchi di delicato umorismo. Il tema non è nuovo (non ultimo «Il figlio dell’altra» di Lorraine Lévy, con ragazzi un po’ più cresciuti e nel contesto ebraico-palestinese). Qui, però, il regista nipponico si rivela un raffinato maestro. Le relazioni di sangue non riescono a cancellare ciò che si è costruito negli anni. Nonostante i dubbi, l’amore vissuto resta imprescindibilmente impresso nei piccoli come nei grandi (il potere dell’educazione). «Chi conta è chi ti cresce e non ti chi ti mette al mondo», ricorda la nonna, e ancora: «Quando si vive insieme si finisce per assomigliarsi». Non una semplice constatazione, piuttosto una presa di coscienza che può maturare solo quando realmente si vive da padre (e da madre).

Temi: paternità, famiglia, figli, educazione, identità, coscienza, colpa.