Direttamente dal Festival di Cannes, per la regia di Mario Martone l'unico film italiano in Concorso alla Croisette: la sensibilità della scrittrice italiana a fianco delle donne sconfitte. Da ieri giovedì 22 maggio in sala.
Di Gabriele Lingiardi

La riscoperta di Goliarda Sapienza, scrittrice e attrice italiana del novecento, avviene anche attraverso il cinema. A febbraio ha debuttato in televisione, dopo dei rapidi passaggi in sala, l’apprezzata miniserie L’arte della gioia, tratto dall’omonimo romanzo da lei scritto e considerato il suo capolavoro. Dietro il progetto c’era Valeria Golino che ha curato la regia degli episodi. Ora Golino torna, diretta da Mario Martone, a interpretare Goliarda Sapienza sotto forma di personaggio.
Fuori racconta infatti uno dei tanti momenti dell’articolata vita della scrittrice: l’estate trascorsa dopo essere appena uscita dal carcere. Fu una detenzione breve la sua, dovuta a un furto di gioielli. A Rebibbia si crearono però legami forti con altre donne, in particolare Roberta (Matilda De Angelis) e Barbara (Elodie). Martone racconta bene la Roma degli anni ’80, la sua peculiare atmosfera fatta di circoli letterari (anch’essi una forma di prigionia secondo il film). Inquadra nei dialoghi il desiderio di emancipazione femminile che passa spesso attraverso il continuo confronto delle rispettive vite. Essere ex criminali, una volta fuori dal carcere, non comporta per forza essere libere.
La regia si interessa meno all’assurda storia di successo tardivo di Goliarda, la cui produzione fu riscoperta decisamente in ritardo prima in Francia e poi in Italia. Forse meriterebbe un film a parte. Golino la interpreta concentrandosi, quasi in maniera pasoliniana, sul modo in cui la sua fantasia si nutre dalle vite delle ultime, dalle donne sconfitte, dalla strada. La grande storia italiana sta sullo sfondo dell’evoluzione della scrittrice, vero punto focale dell’opera. A mancare è però dietro la macchina da presa uno sguardo femminile che riesca ad evitare ad alcune scene di sfiorare il cliché. Di Fuori resta però impressa l’alternanza dei piani di racconto: una prigione dove le donne si sentono libere di essere ciò che sentono, e un esterno fatto di una socialità che imprigiona. Ci sono luoghi che sembrano contenere mondi dentro di sé (un bagno con doccia in una profumeria, librerie che aprono porte verso altre stanze). È un’epica dell’interiorità. Il modo migliore per raccontare la mente degli artisti.
Temi: scrittura, povertà, criminalità, emancipazione femminile, Goliarda Sapienza