Oltre ogni retorica di eroismo, oltre ogni giustificazione della violenza, Warfare ci porta in una missione militare dove la videocamera disvela l'orrore della guerra. E non lo fa attraverso la disperazione dei civili o le sue conseguenze politiche, ma mostrando in modo crudo (e realistico) gli effetti di questa violenza sui militari: nessuno può salvarsi, neanche chi sopravvive.

Di Gabriele Lingiardi

Warfare 001

È veramente difficile consigliare Warfare – Tempo di guerra. Sarebbe come andare sull’attrazione di un parco a tema che più provoca nausea. O come consigliare il cibo meno salutare al ristorante. Spesso però quelle montagne russe sono quelle più adrenaliniche e quei pasti i più gustosi. Warfare è la stessa cosa: un’esperienza cinematografica viscerale, non per tutti (anzi, per nessuno), e immersiva.

Alla regia c’è Alex Garland insieme a Ray Mendoza, ex Navy SEAL, oggi consulente di Hollywood per le scene con i militari. Il film nasce dai ricordi, suoi e dei suoi commilitoni, di una missione svoltasi nel 2006 a Ramadi, in Iraq. Un’insurrezione blocca i militari americani in un’abitazione, circondati da uomini armati cercano di sopravvivere fino all’arrivo dei soccorsi. L’obiettivo dichiarato dell’opera è riprendere i fatti veri con la maggior fedeltà possibile e, soprattutto, farlo in tempo reale. Tre minuti di attesa, sono veramente tre minuti sullo schermo per un’ora e mezza di film che sembra durare il doppio per quanto è difficile da guardare.

La guerriglia scoppia dopo una prima mezz’ora in silenzio, da film muto. A quel punto Mendoza e Garland non fanno sconti. Si racconta che dopo una proiezione con i veterani una moglie li abbia ringraziati per averle fatto capire, attraverso il film, ciò che il marito aveva vissuto e non riusciva a raccontare. Warfare fa i conti con lo stress post traumatico. Cerca di provocarlo, in maniera omeopatica, allo spettatore. A seguito dell’esplosione di un ordigno la squadra si ritrova vulnerabile, due di loro hanno le gambe lacerate, gli altri sono contusi e in stato confusionale. Una scena infernale. C’è chi si dissocia, chi piange, chi non riesce a tenere in mano la morfina per quanto trema. Di fronte alla presenza della morte e alle urla dei compagni non c’è addestramento che tenga. Il film parla dei corpi (non a caso inizia con quelli femminili esibiti) e ciò che fa la guerra su di essi. L’anima cerca di restare attaccata anche quando sono dilaniati. Che senso ha questa violenza? L’unico senso possibile: nessuno. È questo il messaggio: non c’è eroismo in questo film. Nessuna gloria nelle armi, nessuna giustizia. Solo giovani mandati a morire per conto altrui e un profondo orrore. Da ricordare, in questi giorni folli.

Temi: guerra, morte, sofferenza, insensatezza della violenza, desiderio di pace