Costruire da soli una casa in giardino è un'impresa impossibile? No se c'è una comunità che fa sua la missione. La vita che verrà è il film che vi presentiamo questa settimana. Un'opera indipendente, ma che apre a molte riflessioni.

Di Gianluca Bernardini

La vita che verrà

Quando sembra che la tua vita cada totalmente a pezzi, forse quello è il momento opportuno per darti da fare e rimetterla in piedi. È questo il leitmotiv di Sandra (Clare Dunne, pure co-sceneggiatrice), la protagonista dell’ultimo film di Phyllida Lloyd (regista di “Mamma mia” e “The Iron Lady”) “La vita che verrà – Herself”, presentato lo scorso anno con successo al Sundance festival.
Rifugiatasi con le due bimbe in un hotel per allontanarsi da un marito violento, la donna, che desidera ricostruirsi una vita serena, viene travolta da tutti i problemi che comporta ogni separazione, come il rapporto con il padre con le figlie e la ricerca di un nuovo alloggio.
In mezzo il dolore, la preoccupazione, nonché una forte determinazione carica di speranza, grazie alla disponibilità della dottoressa da cui lavora, subentra l’idea di costruire materialmente una casa nel giardino. Complici diversi contatti, si crea così un “gruppo di amici” che si cimenta nella difficile impresa per venire in aiuto a Sandra. Tanta solidarietà per combattere quella violenza che non solo ferisce il corpo, ma anche l’animo di una madre, sposa e soprattutto donna. Tante “Sandra”, che si nascondono dietro al trucco, per gioco o per paura.
Ciò che colpisce, però, non è solo l’attualità del tema, ma anche la capacità della regista di mettere in scena quella forza interiore che ha solo chi vuole liberarsi da un rapporto distruttivo con tutta se stessa, per il bene suo e delle sue piccole. Da vedere, magari proprio in un contesto di cineforum.

Temi: violenza, famiglia, separazione, donna, ricostruzione, ripartenza, solidarietà, forza interiore, speranza