di Gianluca BERNARDINI

LAZZARO FELICE

Probabilmente il grande pubblico non lo amerà, non lo riuscirà a capire, non ne coglierà il senso che Alice Rohrwacher ha voluto dare al suo ultimo lavoro «Lazzaro Felice», fresco di premio per la miglior sceneggiatura all’ultimo festival di Cannes. Un film che, probabilmente, rientra in quel cammino di ricerca che la regista ha intrapreso fin dai suoi esordi con «Corpo celeste»: capace di arrivare all’essenzialità dell’esistenza, fatta di piccole e semplici cose. Quella che la società ha, in qualche modo, caricato di pesantezze e brutture, nonostante il progresso. Sarà per questa ragione che la Rohrwacher torna anche questa volta in campagna (ricordiamo «Le meraviglie» del 2014), con una sorta di favola moderna, dove negli anni Novanta una comunità contadina di circa cinquanta persone è stata schiavizzata per raccogliere tabacco dalla pseudo marchesa, Alfonsina (Nicoletta Braschi), che l’ha tenuta segregata fuori dal tempo e dal mondo. Tra questi «ingannati», protagonista del racconto, Lazzaro (Adriano Tardiolo), un giovane ventenne, figlio non si sa di chi, buono di natura, senza nessun senso di ribellione, sempre pronto a venire incontro a chi ne ha bisogno, anche al figlio della «padrona». Con Tancredi (Luca Chikovani e poi da adulto Tommaso Ragno), con il quale instaurerà una sincera e imperitura amicizia, che si ripresenterà come occasione per fare di nuovo del bene, per essere se stesso, nonostante tutto, fino alla fine, quel povero «scemo», ora «risorto» (come vuole il nome che porta), divenuto un «santo» dei nostri giorni. Con stile asciutto, immagini sgranate (quasi melanconiche), sguardi intensi, la regista toscana torna al suo cinema (d’autore), portandoci su due piani temporali diversi, capaci di porci, però, quelle domande di senso che da «sempre» sembrano abitare i nostri spazi e la nostra storia: perché occorre credere che il bene vinca sempre sul male? Perché l’uomo, in fondo in fondo, non può non essere buono? Un desiderio, un sogno o, forse, semplicemente un «monito», da cogliere al volo. Prima che sia troppo tardi.

Temi: campagna, bontà, felicità, morte, male-bene, inganno, prossimità, futuro, speranza, salvezza.