Con Love Life, la nuova opera del regista giapponese Kôji Fukada, entriamo in una famiglia come tante. C’è un bambino, Keita, appassionato di Othello che ha appena vinto un torneo.

Gabriele Lingiardi

Love Life parliamone con un film

Il padre Jiro e la madre Taeko organizzano una festa per celebrare il successo e, contemporaneamente, il compleanno del nonno paterno. Lui è l’unico elemento dissonante in questa famiglia apparentemente perfetta. Non ha mai accettato l’unione tra suo figlio e Taeko. All’improvviso un evento sconvolge l’equilibrio della famiglia. Il piccolo scivola nella vasca, batte la testa e affoga. Invece di diventare un film sul senso di colpa Love Life apre, a partire da questo lutto, un’esplorazione a ritroso nel passato dei suoi personaggi.

Tutti i dettagli inseriti nella prima parte vengono spiegati (come mai mamma e figlio sanno parlare il linguaggio dei segni mentre il padre no? Da dove deriva l’ostilità repressa?). Mentre si scopre il perché di queste briciole disseminate qua e là, Fukada trova nella fragilità, ormai venuta allo scoperto squarciando il velo di apparenza che la famiglia ha costruito, uno strumento di profonda tenerezza. Siamo in un film dallo sguardo lungo, che costruisce le inquadrature in profondità e dove le persone si parlano da un palazzo all’altro. Guardare nelle finestre, interessarsi del prossimo, è un elemento di socialità che anche nelle società più riservate (come quella del Giappone) permette di superare tante barriere. Così Love Life usa l’elaborazione del dolore per parlare di amore, a volte intrecciando all’eccesso le relazioni sentimentali in maniera quasi inverosimile.

Eppure il film lo fa regalando alcune sequenze poetiche che riempiono gli occhi. Un incontro, dopo tanto tempo, tra un uomo e una donna scandito dal silenzio e dal treno che passa sullo sfondo. Ci sono altre, dolci, comunicazioni via chat con gli amici del figlio. Si parla tanto di sentimenti veri che esplodono in macchina con uno sconosciuto o durante un temporale in un momento di festa dove le lacrime si possono nascondere tra le gocce che solcano il viso. Grazie a una fotografia dai colori pastello e una recitazione composta degli attori, il film è un viaggio nella bellezza dei rapporti umani e nella ricchezza di emozioni che questi portano con sé. Perché in fondo, sono proprio le sfumature, molto più che le passioni estreme, a rendere piena la vita.

Temi: famiglia, amore, lutto, infanzia, passato, comunicazione, vita nelle città, relazioni