di Gianluca BERNARDINI

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«Dov’è la clemenza, il perdono, il dialogo, Dio in tutto questo?», questa è la domanda dell’imam al neofita jihadista e questa è la domanda che si pone lo spettatore mentre scorrono le scene terrificanti di «Timbuktu», il «cineracconto» di Abderrahmane Sissako, che oltre aver partecipato all’ultimo festival di Cannes e averne vinto il premio ecumenico, ora è pure candidato all’Oscar come miglior film straniero. La storia si svolge in Mali, in un villaggio che conserva antiche memorie, ma che ha integrato tra le sue tradizioni i beni, i vizi e le tecnologie della società moderna. Qui, ma fuori città, vive in una tenda Kidane, con la moglie Satima e la figlia Toya, lontani da chi in nome della «jihad» vuole imporre la lingua araba, il velo e i guanti per le donne, i risvolti ai pantaloni per gli uomini, nonché «nuovi» costumi che proibiscano il fumo, il calcio, la musica. In un susseguirsi di eventi, che vedranno protagonista anche il povero Kidane in un accidentale omicidio, il film scorre via attraverso momenti memorabili (uno su tutti la scena del calcio senza pallone) e campi lunghi (sul fiume o sulle dune) che svelano non solo paesaggi bellissimi, ritratti da una splendida fotografia, ma una grande capacità di gestire la macchina da presa, da parte del regista mauritano, che fa di «Timbuktu» un’opera d’autore (sebbene qua e là non sempre le sequenze, pare, si raccordino bene tra loro). Sissako si ispira a un episodio avvenuto nel 2012 in una città a nord del Mali, quando due giovani non sposati vengono sorpresi «insieme» e lapidati, per farne un racconto che metta in evidenza la minaccia di uno dei tesori più preziosi che l’uomo abbia ricevuto in dono: la propria libertà. Quando le regole, qualunque sia la loro provenienza, mortificano l’uomo fino a spegnere ogni barlume di felicità e bellezza (anche degli stessi jihadisti!), non possono essere accettate. Non è un film contro l’islam, ma certo contro ogni forma di fondamentalismo che nuoce alla dignità umana. Essa prima di tutto va salvaguardata, prima che venga «schiacciata» o uccisa. Forse occorrerà pure «fuggire» e correre come una giovane gazzella (bella metafora) per non cadere in trappola, prima che sia troppo tardi, prima che l’assurdità e la violenza prendano il sopravvento nelle storie che, purtroppo, accompagnano i nostri giorni.

 

Temi: violenza, jihad, fondamentalismo, oppressione, libertà, dignità umana, amore.