di Gianluca BERNARDINI

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Esiste un limite al male, alla violenza e al dolore? Vedendo l’ultimo film di Angelina Jolie, per la seconda volta nei panni di regista, potremmo dire apertamente di no, viste le infinite inflizioni, prove e orrori messi in scena (troppi?). Questo è, almeno in parte, «Unbroken» (indomito), lo storia vera dell’atleta olimpionico Louis (Louie) Zamperini (interpretato magnificamente da Jack O’Connell), immigrato italiano, che durante la Seconda guerra mondiale, sopravvissuto a un attacco aereo e a ben 47 giorni in mare aperto, catturato dalle truppe giapponesi ha patito fino agli estremi in un campo di concentramento, prima di ritrovare la libertà. Superato il disturbo mentale paralizzante (Dpts), si è poi totalmente speso per testimoniare la fede e la forza del perdono fino alla morte, avvenuta nel luglio scorso. Il film, scritto insieme ai fratelli Coen, che si divide apparentemente in tre capitoli (giovinezza, guerra e prigionia), indugia proprio sulla forza e resistenza di Louie (chiamato «Lucky Louie», fortunato), un uomo che ha imparato fin da ragazzo a «non mollare», come il fratello più grande gli ha sempre insegnato: «Se resisto posso farcela». Uno sguardo sull’eroe e sulla ferocia umana, più che sul perdono appena evocato all’inizio del racconto e ricordato nelle scene finali (probabilmente, si dice, spunto per un nuovo film). Uno sguardo che fa male, come male può fare il dramma della guerra e dell’odio. Non ci sono sconti, non ci è risparmiato nulla delle prove di Zamperini e degli altri commilitoni, nemmeno però l’amicizia sodale che rivela il cuore di Louie (in diverse scene «figura cristica») che irragionevolmente persiste nell’amore e nella speranza, nonostante tutto. La sua odissea, col senno di poi, per lui è stata un dono. Per noi, forse, ancora dramma carico di una domanda: «Perché tutto questo»? E, tuttavia, un grande insegnamento.

Temi: guerra, resistenza, riscatto, perdono, prigionia, violenza, dolore, morte, male.