di Gianluca BERNARDINI

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Un pugno nello stomaco o forse peggio, ma senz’altro un film che merita di essere visto, per la portata di senso che mette in gioco, non solo nel «Giorno della memoria». Questo è «Il figlio di Saul» di László Nemes, Gran Premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes e ora candidato all’Oscar come miglior film straniero. Un’opera prima, intensa e toccante, che ci riporta nuovamente nel campo di concentramento di Auschwitz, ma con un nuovo e originale punto di vista: quello di Saul Ausländer (l’emergente Géza Röhrig, poeta e scrittore di origini ungheresi che vive a New York), reclutato nel «sonderkommando», il gruppo di ebrei incaricati dai nazisti ad accompagnare, con l’inganno, lo sterminio degli altri prigionieri. Costretto a questo compito assurdo e crudele, Saul, mentre raccoglie gli ultimi «pezzi» (così chiamati) arrivati nelle camere a gas, riconosce il cadavere di quello che lui crede di essere suo figlio. Spinto all’improvviso da un desiderio sacro e, forse, ancestrale di dare una degna sepoltura a un morto, si mette alla ricerca di un rabbino per poter recitare la preghiera del «Kaddish». Il viaggio che Nemes ci costringe a fare, attraverso gli occhi di Saul (interessante il «formato ristretto» scelto che non ci fa allargare volutamente il campo visivo) ci riporta nuovamente dentro gli orrori dell’Olocausto, facendo però emergere ciò che forse pochi altri hanno saputo fare sullo stesso tema: ovvero il sentimento della pietà, della compassione. Quello racchiuso in fondo a ogni uomo che nessuno mai, nonostante tutto, potrà derubare o distruggere. L’idea, ispirata dal racconto «La voce dei sommersi», edito da Marsilio, di mettere in scena la «parabola» di Saul, getta nuovamente luce su una pagina orribile e oscura della storia, ma anche sul senso della vita (sul nascere e sul morire), nonché sul senso stesso di ciò che definiamo, ancora oggi, come «religioso». Quella religione universale del resto, alla quale forse inconsapevolmente siamo tutti «legati», che si chiama umanità. Un film vero, profondo che «resta dentro» una volta usciti dalla sala. Perché ci sono drammi che non ci è permesso dimenticare, come film, pure, che non si possono scordare e non se ne può non parlare.

Temi: Olocausto, Auschwitz, ebrei, sterminio, morte, compassione, pietà, umanità.